Gamification case study: Carrefour e PICS

 

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L’azienda francese lancia un’iniziativa che mette in palio buoni della spesa all’interno dei propri punti vendita, utilizzando un’applicazione, online e per cellulari, che utilizza diversi strumenti della Gamification per creare engagement per i propri clienti. Analizziamo PICS e forniamo un quadro delle sue potenzialità e caratteristiche.

 

Carrefour ha ideato una nuova campagna gamificata che sarà usufruibile fino al 31-07 di quest’anno; PICS, questo il nome dell’iniziativa, sarà utilizzabile dal web all’indirizzo Carrefour.it o da un’app scaricabile sul proprio cellulare. Il funzionamento è molto semplice: una volta registrato, all’utente vengono mostrati prima un indizio (per esempio “Ospiti sgraditi”) e successivamente 12 degli oggetti Carrefour tra cui scegliere. Dopo due minuti di gioco, il sistema ci dirà quanti punti abbiamo fatto: con 100 punti avremo modo di partecipare all’estrazione di uno dei buoni sconto (sono 10 ogni giorno) disponibili.

L’applicazione presenta molti spunti interessanti che possono essere analizzati in ottica gamification:

 

  • Innanzitutto, vi sono i punteggi, che sono il primo indizio della presenza di un ambiente gamificato. Al termine dei due minuti, riceveremo il nostro punteggio che ci permetterà di scoprire se potremo avere una chance di vincere il premio. Con 100 punti in una partita otterremo infatti la possibilità di cliccare su instant win per poter tentare di prendere per noi uno dei buoni da 50 euro messi a disposizione da carrefour. I punteggi danno la possibilità agli utenti di avere una metrica diretta delle proprie performance all’interno del gioco, e dà un obiettivo chiaro che essi devono raggiungere.
  • Il tempo è uno dei fattori portanti dell’esperienza: il giocatore ha solo due minuti di tempo per effettuare tutte le combinazioni possibili per il premio. Avere un limite di tempo così basso lo spinge a muoversi velocemente, aumentando così le possibilità di errore. Con un tempo limite di due minuti, inoltre, la partita risulta rapida e l’utente è portato a testare nuovamente le proprie abilità, giocando nuovamente.
  • Carrefour riesce ad inserire un altro concetto economico all’interno dell’applicazione. Esistono infatti due modalità di “gioco”: la prima è allenamento, con la possibilità di effettuare partite a volontà, l’altra è la modalità “partita” con la quale possiamo mettere a frutto il nostro “allenamento” per tentare di vincere i buoni, ma solo con tre tentativi al giorno. La scarsità di risorse introdotta in PICS, quindi, indurrà i giocatori ad utilizzare il più possibile l’applicazione in modalità allenamento, per poter poi trarre il massimo vantaggio quando si effettueranno le partite canoniche concesse dall’applicazione. Più partite di allenamento si traducono in un maggior tempo passato dagli utenti sull’applicazione.

 

L’obiettivo prefissato da Carrefour per questa campagna gamificata risulta però quello di mostrare i propri prodotti che hanno superato un panel di consumatori. All’interno del minisito infatti vengono spiegate le caratteristiche del panel che Carrefour ha improntato per offrire ai consumatori ciò che essi stessi richiedono. Nel corso del gioco gli utenti guardano più volte i prodotti carrefour, imparando inoltre le funzioni d’uso specifiche degli stessi (quali prodotti utilizzare per una cena sfiziosa o quali per curare la propria igiene). Quando torneranno nei punti vendita, essi li riassocieranno alle funzioni associate, trasformando quindi il tempo passato sull’applicazione in acquisto all’interno della catena francese.

 

 

Gamification case study: Steam Trading Cards

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Steam propone ai propri utenti una promozione, al momento in beta, che permetterà loro di collezionare carte virtuali relative ai titoli giocandoci o utilizzando la propria rete di amici sul proprio account. Analizziamo la proposta di Valve per gamificare l’esperienza di gioco degli utenti, al fine di ingaggiarli e sviluppare un vero e proprio “mercato” parallelo di carte virtuali.

 

Le carte collezionabili sono un fenomeno che attrae e stabilizza un rapporto duraturo con i propri utenti sin dagli anni ’90, quando Magic the Gathering si è imposto nel panorama mondiale. Da allora, si sono succeduti vari sistemi di regole e di collezioni, che hanno toccato qualsiasi tema possibile (QUI su Wikipedia.eng una lista esaustiva).
Steam crea pertanto, al momento in fase BETA, un sistema gamificato che si propone di premiare i propri utenti: stiamo parlando delle STEAM TRADING CARD.

Il sistema ideato da Valve è molto semplice: semplicemente giocando ad uno dei giochi che partecipano alla beta di questo sistema, sarà possibile collezionare carte relative ai programmi (nella beta vi sono giochi che spaziano da DOTA 2, Portal 2 e Triple Town); ogni gioco avrà un proprio “set di carte”, di grandezza variabile, ma l’utente potrà raccogliere al massimo la metà di esse giocando senza alcun aiuto…esterno.

Se infatti il giocatore vorrà terminare un set di carte relativo ad un gioco, dovrà appellarsi alla comunità di Steam scambiando le proprie carte per ottenere quelle che gli mancano e compleatare così la serie. Oltre a guadagnare direttamente in prestigio (l’utente riceve una medaglia visibile sul proprio profilo), la medaglia consegna ad un giocatore un contenuto multimediale (come può essere uno sfondo per il profilo  o una emoticon particolare) oppure uno sconto sull’acquisto di altri titoli Steam.

Lo scopo della promozione è quindi premiare gli utenti che utilizzano maggiormente i i prodotti Steam e allo stesso tempo favorire un’interazione, seppur minima, con la comunità dei giocatori. La componente “endless” della promozione (la possibilità che non vi sia una fine designata) è data dalla possibilità per gli utenti di perfezionare le medaglie ottenute per ottenere premi migliori.
Steam lascia quindi la scelta ai giocatori, che potranno decidere quanto immergersi nell’esperienza in base alle proprie preferenze, privilegiando l’aspetto pratico dell’ottenimento delle carte o l’aspetto più sociale/mercantile che seguirà lo scambio delle carte.

Non resta che attendere per vedere se questa iniziativa, al momento in fase BETA, piacerà agli utenti Steam, portandoli ad utilizzare con maggior frequenza i prodotti Valve. Per il momento non possiamo che attendere di vedere la loro reazione, per questo progetto che potrebbe (fonti non ufficiali lo affermano) portare presto ad un gioco interamente dedicato.

 

 

Il test di Bartle e la personalità del giocatore

 

Test-Bartle_Header

Comprendere la personalità dell’utente è utile a chi produce esperienze gamificate per poter prevedere molti aspetti quali la competitività tra gli utenti, la possibiltà di far socializzare gli utenti e molti altri. Il Test di Bartle consente di verificare la personalità dell’utente definendo quattro archetipi di giocatore, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità. Analizziamo gli archetipi, provando a suggerire per ognuno un possibile sviluppo, all’interno del game design, per poter assecondare le peculiarità di ognuno.

 

Il test di Bartle, ideato dal ricercatore inglese Richard Bartle nel 1996, permette di definire quattro personalità specifiche dell’utente, consentendo al game designer di costruire un’esperienza adatta alle esigenze di ognuno. Le tipologie individuate da Bartle si rifanno soprattutto al contesto MMORPG, ma allo stesso tempo forniscono un’ottima base da cui partire per creare esperienze gamificate, dato che esse si rifanno all’ambiente ludico in generale. Inoltre, vengono utilizzate in numerosi framework relativi alla gamification, come vedremo più avanti. Le “personalità” individuate si rifanno ai semi delle carte, altra analogia con un gioco, e sono:

 

  • Archiever –> Si rifanno ai quadri nelle carte. Questa tipologia di giocatori gioca con lo scopo ultimo di collezionare livelli, equipaggiamento e qualsiasi altra misura di progressione all’interno del gioco. Sono pronti ad eseguire qualsiasi azione pur di ricevere il riconoscimento del proprio prestigio.

Questa tipologia di giocatori viene ingaggiata da giochi che permettono loro di avere dei bonus al completamento del gioco, oppure, in una visuale multiplayer, se possono mostrare il proprio progresso agli altri giocatori e le proprie doti di giocatori ad un pubblico ampio. Sono i giocatori che affollano le leaderboard, per il mero valore che danno al completamento in tutti i suoi aspetti del gioco. Importante per il game designer è prevedere sempre obiettivi variabili da raggiungere: serve infatti una spinta costante per garantire l’affiliazione di questi giocatori all’esperienza, rafforzando nel tempo l’engagement creato con questi giocatori, e permettendo a questi di mostrare le “rarità” sbloccate a tutte la community, per proprio prestigio personale.

 

  •  Explorer –> Ecco le picche, coloro che preferiscono impiegare il tempo sulla nostra esperienza gamificata scoprendo nuove funzionalità, creando livelli personalizzati e in generale dimostrando la propria conoscenza di tutti i segreti dell’esperienza.

Possiamo creare engagement per questi giocatori permettendo loro di esplorare tutte le potenzialità della nostra esperienza, lasciandoli liberi di muoversi come preferiscono, ed inserendo delle aree “segrete” con le quali potranno approcciarsi. Questi giocatori ricevono uno stimolo positivo nello scoprire nuove aree e nel provare tutte le combinazioni possibili del nostro gioco. Agli explorer piacciono esperienze e giochi che non terminano mai di stupire e che si ampliano continuamente, permettendo loro di continuare a trovare nuove conoscenze per poterle poi condividere con la community (accrescendo il proprio prestigio) o mantenendole per sè per un vantaggio proprio.

 

  • Socializer –> Il socializer è colui che  gioca prevalentemente per l’aspetto sociale delle esperienze gamificate, considerando il gioco in sè niente altro che lo strumento per poter guadagnare il massimo ritorno d’immagine creando una rete di contatti attorno a sè. Per il socializer le persone e le relazioni che può creare con esse sono il punto focale dell’intera esperienza.

Per questo, per ingaggiare efficacemente i “cuori” di questi giocatori (si rifà infatti ai cuori questa tipologia), serve offrire all’utente la massima possibilità di interazione, consentendo agli utenti la possibilità di allargare e migliorare le proprie relazioni personali. A questa tipologia di giocatori possono interessare giochi simili alla saga di Fable o MAss effect, che permettono molte interazioni con il gioco vero e proprio; ma è nella possibilità offerta dal multiplayer che il socializer dà il meglio di sè, potendo contare su una rete di contatti con le quali può intrecciare relazioni sempre più strette. Nell’ottica degli MMORPG il socializer è colui che gioca assieme alla propria “gilda” per il solo gusto di affrontare i nemici con i propri amici.

 

  • Killers –> i killers hanno in mente un solo obiettivo: la propria supremazia sull’avversario. Egli compete pertanto con gli altri giocatori per affermarsi; non interessa ai “fiori” essere temuti o detestati, ma solo primeggiare direttamente nel confronto con gli altri giocatori.

Per questo motivo, a questi giocatori interessa avere un rapporto diretto con gli altri player per potersi misurare con essi. Se da un lato il killer può divenire un pericoloso elemento che tenta di primeggiare a tutti i costi sugli avversari, dall’altro il killer spinge per una competizione pulita, apprendendo dai nemici per potersi migliorare assieme ad essi. La prima impressione riguardante i killers li relega ad individui che eliminano le relazioni nei giochi, ma è un pregiudizio scontato ed errato; molto spesso figurano come degli eroi irraggiungibili (se primeggiano) o come delle figure divertenti e sagaci (se recitano la figura del “troller”).

Occorre quindi prestare attenzione alla personalità del proprio pubblico per poter creare esperienze gamificate che possano essere interessanti per tutti; nella definizione del target e nella progettazione dell’esperienza vera e propria, occorre comprendere quali tipologie di persona andremo ad interessare e quali leve dovremo muovere per interessarli alla nostra attività (promozionale, nel caso di business). Torneremo a parlare specificatamente del test di Bartle cercando di toccare più approfonditamente come il test di Bartle viene utilizzato dagli esperti nei propri modelli, potendo così essere di aiuto nella definizione dei progetti gamificati.

Se volete verificare che tipo di giocatore siete, potete provare ad effettuare il test online (è in inglese e tratta in maniera particolare di MMORPG), cliccando QUI

 

 

 

 

Giocare (e perdere) ci aiuta a migliorare

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Uno degli aspetti più interessanti di un ambiente gamificato è la possibilità di ricreare un ambiente “protetto”, all’interno del quale l’utente può migliorare alcuni comportamenti. Vediamo come la possibilità di poter provare un’azione più volte diventa importante, soprattutto in contesto aziendale, per migliorare la produttività dei propri dipendenti.

La possibilità di far vivere delle esperienze in un contesto virtuale può essere di grande aiuto alle persone: ogni giorno milioni di persone giocano a videogames che riproducono delle situazioni di vita quotidiana (a volte opportunamente modificati per adattarsi al game design). I videogiochi possono sembrare strani o fuorvianti (per esempio nella saga di GTA siamo portati ad infrangere le leggi), ma possono insegnare a migliorarci in alcuni task, come nell’esempio citato il guidare per la città ricostruita virtualmente. Il fatto stesso che la città sia virtuale permette al giocatore di non preoccuparsi troppo di eventuali errori, ma la possibilità di imparare a guidare correttamente (rispettando la segnaletica, evitando gli incidenti) è un task presente (e anche supportato dal gioco, dato che la guida spericolata può essere uno dei motivi per il quale la polizia ci inseguirà).
Quindi, il giocatore può impegnarsi a migliorare alcune competenze che si riflettono in seguito nella vita quotidiana: ricorderà come ha affrontato la situazione all’interno del videogioco e riuscirà a trovare la soluzione migliore che è riuscito ad adottare all’interno del contesto virtuale.

Spostando il nostro punto di visione sul contesto aziendale, le applicazioni sono infinite e si prestano alla creazione di serius game per testare e formare le capacità dei propri dipendenti: avendo la possibilità di tarare il game-design sulle necessità del management, i dipendenti possono essere inseriti in situazioni che simulano ciò che potrebbero incontrare durante la loro carriera lavorativa. Avremo così poliziotti alle prese con simulazioni di casi, piloti che affrontano traversate comodamente seduti alla scrivania, impiegati alle prese con clienti fittizi. Unendo la situazione virtuale ad un game-design ben studiato (il game design, per ogni applicazione gamificata è essenziale), consente al dipendente di provare e riprovare, in un ambiente protetto, il proprio task. In questo modo potrà, esattamente come se stesse giocando ad un altro qualsiasi videogame, imparare dai propri errori per non commetterne nella vita reale.

Il vantaggio si sviluppa per tutte le categorie impiegate nel processo produttivo:

  • Il dipendente ha modo di sviluppare le proprie capacità lavorative avendo la possibilità di testare diverse strategie per portare a compimento la missione assegnata. L’apprendimento è portato ad essere più incisivo, dato che avviene in un contesto “fun” che è attivamente ricercato dall’utente .
  • Il management guadagna una formazione attiva da parte dei dipendenti, che risulta quindi migliore a livello qualitativo. L’esperienza è adattata al processo produttivo aziendale, e pertanto il management può decidere su quale aspetto della carriera lavorativa far lavorare i dipendenti. Inoltre è possibile adattare le tecnologie utilizzate al fine di formare sempre più dipendenti, abbattendo i costi per l’azienda.
  • Il cliente ottiene un servizio migliore, formato sulla base delle esperienze accumulate dal lavoratore. Quanti aerei sarebbero dovuti cadere per ottenere la stessa formazione per quel pilota?

La tua azienda è pronta per la gamification?

gamification

 

Applicare tecniche gamificate per il proprio business può essere complicato se non si tengono a mente alcuni principi  fondamentali che possono determinarne il successo o l’insuccesso. Getmoreengagement.com stila le sette domande che l’azienda dovrebbe porsi prima di introdurre la Gamification tra i propri strumenti di Marketing.

 

Secondo Gartner il 40% delle più grandi imprese globali utilizzerà la gamification entro il 2015 nei propri processi di Business; le aziende che stanno muovendosi in direzione dell’adozione di tecniche gamificate sono così numerose che la stessa azienda statunitense prevede entro il 2016 un mercato di 2,8 miliardi di dollari per la Gamification.

 

I nuovi ritrovati tecnologici e l’ideazione di design interessanti per l’utente hanno quindi permesso una grande spinta all’uso della gamification da parte delle imprese. E’ quindi possibile per chiunque utilizzare la gamification come proprio strumento di Marketing?

La risposta è ovviamente negativa: chiaramente, chiunque può utilizzare gli strumenti che desidera nella definizione della propria strategia di Marketing, ma allo stesso tempo non è possibile ottenere risultati agendo senza una direzione precisa. L’esperienza deve creare engagement per il cliente, deve accompagnarlo nel cambiamento dei suoi comportamenti.

 

Per questo, Business2Community stila un interessante serie di domande che puntano tutte verso un unico punto: la nostra azienda  è pronta ad adottare la gamification?

 

  1. Chi è il nostro Target? Occorre avere ben chiaro il target dell’azione di gamification; essa non può essere rivolta “a tutti”, ma deve essere ben progettata per una specifica target audit, che possa coglierla al meglio.
  2. Qual’è il nostro traguardo e i nostri obiettivi? Il focus dell’azione deve essere ben chiaro; meglio prevedere una azione ben mirata e specifica senza disperdere le proprie forze allargando troppo l’azione.
  3. Che azione vogliamo incoraggiare? La gamification si occupa di cambiare i comportamenti degli utenti: serve che l’azienda comprenda attentamente quale cambiamento vuole operare nel comportamento dell’utenza, e lì concentrare i propri sforzi.
  4. Come possiamo monitorare i progressi? Essendo uno strumento di Marketing, la gamification ha bisogno di essere misurabile per comprendere se e quanto l’azione gamificata ha avuto successo o meno.
  5. Che tipo di ricompensa vogliamo offrire? Come in un videogame, l’azione dell’utente deve essere finalizzata all’ottenimento di un benefit. L’azienda deve prevederlo per poter adottare un design adatto al premio.
  6. Come possiamo promuovere l’azione di gamification? Serve definire attentamente i canali attraverso i quale si vuole muoversi: meglio una promozione solo online oppure anche nella vita reale degli utenti?
  7. Che budget vogliamo imporci? Il lavoro creativo deve essere remunerato nella giusta maniera; per questo l’azienda deve prevedere il proprio budget per l’azione gamificata

 

Le domande che Getmoreengagement.com pone permettono ai responsabili delle attività d’azienda di valutare attentamente (ovviamente in maniera preliminare) la scelta di gamificare le proprie attività, prima di rivolgersi ad un esperto del settore.

Potete trovare qui l’articolo in lingua originale.

Gamification Case study: il video interattivo dei RHCP

I Red Hot Chili Peppers hanno presentato il proprio video di “Look Around” in una versione decisamente poco convenzionale, presentandolo come un vero e proprio video interattivo.
All’utente è consentito spostarsi nelle location del video, spostare lo zoom della telecamera e interagire con alcuni oggetti nascosti che consentono di accedere a contenuti come foto o altri spezzoni, mentre il video musicale continua a suonare. La band di Los Angeles propone quindi un’esperienza avvolgente per i fan e i curiosi, per molti versi simile ad una avventura punta e clicca.

Sono una delle Rock Band più conosciute e blasonate degli ultimi tempi, sempre in grado di innovarsi e di proporre, a fan e non, esperienze coinvolgenti. I Red Hot Chili Peppers hanno saputo creare un’esperienza che coniuga perfettamente la musica con le tecniche di Gamification; il video che vi proponiamo è infatti molto particolare. Mentre sentirete le note di “Look Around”  avrete a disposizione la telecamera, potendo decidere liberamente come spostarvi tra le quattro location del video. Se è vero che esperimenti di video interattivi sono già stati compiuti su youtube per esempio (e sono molti i brand che si sono pubblicizzati in questo modo), l’esperimento di questo video permette di scorrere l’inquadratura mentre il video continua a suonare, senza far scegliere una direzione all’utente a fine video. Come se non bastasse, all’interno del filmato sono presenti degli oggetti interattivi che consentono, una volta cliccati, di raggiungere contenuti accessori, come foto o altri spezzoni.

I RHCP puntano quindi ad un video musicale con rimandi ad avventure “punta e clicca”, che ingaggia gli utenti e li spinge ad interagire con gli elementi presenti nel video, oltre che ad osservare dinamicamente le quattro ambientazioni presentate. Non vi resta che provare il risultato finale, che abbiamo postato sopra, e provare a scoprire tutti i contenuti nascosti (senza usare i trucchi!). L’esperimento apre le porte a progetti ancora più interattivi ed ambiziosi; speriamo che altri sappiano sfruttare questo cammino pioneristico dei Red Hot Chili Peppers per creare esperienze simili in futuro.

Comunicazione interna: gamification diretta ai dipendenti

 

Gamification for employers

 

Sempre più spesso le aziende si interrogano circa gli strumenti da adottare per permettere una piena immedesimazione dei dipendenti nella vision aziendale, e aumentare la propria produttività. La gamification presenta numerose opportunità per le imprese che decidono di investire sui propri dipendenti; presentiamo e analizziamo questo paper che individua i vantaggi e le difficoltà riscontrabili nell’adottare tecniche gamificate per i propri dipendenti.

 

Le imprese sono alla continua ricerca di metodi per migliorare la performance aziendale, spesso andando a ricercare al proprio interno i promotori del marchio. Dipendenti felici significa dipendenti più produttivi e veri e propri “evangelizzatori” dei valori di marca; occorre trasmettere al dipendente un senso di appartenenza alla community aziendale, ricevendo da esso un continuo feedback per permettere l’innovazione dei sistemi a lui dedicati.

I sistemi dedicati al personale all’interno del contesto aziendale sono stati per sempre improntati sul feedback, registrando eventuali suggerimenti da parte dei dipendenti per migliorarne le prestazioni.

La gamification fornisce un continuo feedback delle azioni degli utenti. Viene quindi naturale pensare ad una integrazione delle tecniche gamificate nei sistemi aziendali.

All’interno di un gioco, infatti, i giocatori sono incentivati a partecipare attivamente, elaborando strategie per risolvere i problemi che gli vengono posti e avanzare nell’esperienza tenendo conto anche del parere degli altri; queste caratteristiche creano engagement per il dipendente. Inoltre, per l’azienda, vi è la possibilità di misurare l’impegno profuso dai dipendenti, essendo i badges, i livelli e l’intera esperienza quantificabile, potendo pertanto collegare i risultati sul gioco con quelli riscontrati nella realtà.

L’applicazione della gamification nei sistemi di incentive dei dipendenti presenta però dei punti critici, delle difficoltà che possono presentarsi ma che l’azienda sarà in grado di evitare se l’esperienza verrà sviluppata adeguatamente. Ecco alcune criticità che vengono poste:

 

Eccessiva gratificazione dell’esperienza: nel caso in cui i premi siano eccessivi rispetto alle azioni richieste, vi è la possibilità che il dipendente smetta di essere produttivo quando non viene più premiato nella misura che egli ritiene adeguata;

Ricevere troppi feedback: nel caso l’esperienza sia caotica e mal progettata è possibile che i feedback siano relativi a troppe aree tematiche, e non possa concentrarsi sui dati strettamente necessari per compiere valutazioni corrette;

Competizione negativa: se l’esperienza non è creata nella maniera corretta si rischia di far sviluppare ai dipendenti una competizione troppo serrata, che disgrega il concetto di team che dovrebbe essere invece portante per creazioni di questo tipo.

La maggior parte delle criticità relative alla gamification per i dipendenti viene superata facilmente creando esperienze con un design ricco e variegato, evitando di proporre meccaniche abusate; come scriviamo qui, il design dell’esperienza di gamification sta divenendo sempre più un fattore discriminante per creare esperienze vincenti.

 

A questo link del blog Enterprise Gamification potete scaricare l’intero paper scritto da Zoë Epstein.

 

 

Quando due modelli si incontrano: Gamifikaizen

kai-zen

 

Tra i modelli che vanno formandosi relativi alla gamification, desta interesse l’unione con la metodologia Kaizen, che professa una lunga serie di piccoli cambiamenti per potersi migliorare costantemente. Analizziamo il modello che nasce dall’unione di queste due filosofie, come ipotizzato da enterprise-gamification.

 

La parola giapponese Kaizen deriva dall’unione delle due KAI (cambiamento) e ZEN (migliore). Attraverso questa filosofia di business ben rappresentata dagli sviluppi di Toyota negli anni ’80, l’azienda opera un miglioramento dei propri processi costante, attraverso piccoli ma continui cambiamenti. Per operare queste modifiche , l’azienda si affida al modello PDCA che permette di migliorare la propria qualità attraverso quattro fasi continue:

_Plan: pianificazione del cambiamento

_Do: esecuzione in un contesto circoscritto

_Check: test di verifica, raccolta e riscontro dei risultati

_Act: azione per rendere definitivo il nuovo processo

Punto focale di questa azione è la continua rotazione delle quattro fasi per permettere un flusso di cambiamento continuo, e portarsi così al miglioramento aziendale.

 

La gamification, in sostanza, è invece l’utilizzo di elementi dell’ambiente gaming all’interno di contesti non gaming per generare un cambiamento nell’utenza.

I due modelli possono essere quindi integrati, come suggeriscono su enterprise-gamification, per poter giungere a un framework ottimizzato seguendo sia le direttive del Kaizen, sia della Gamification.

 

gamifikaizen_model

 

Ecco il modello integrato. Le quattro azioni del modello PDCA e in blu le caratteristiche essenziali della gamification. Come potete vedere, l’integrazione delle caratteristiche della gamification combacia perfettamente con le fasi del PDCA, per permettere un miglioramento continuo delle esperienze gamificate.

Non sappiamo ancora se e quando i modelli teorici che stanno sorgendo applicando la gamification a realtà già consolidate funzioneranno nei business model aziendali, ma restiamo in attesa di eventuali aggiornamenti sul Gamifikaizen e sugli altri (qui parliamo dell’Octalysis).

 

 

 

 

Perchè la Gamification non è da ignorare

La Gamification ha ottenuto sempre più attenzioni nel corso del 2012. Alcune testate giornalistiche ne prevedono un veloce abbandono da parte delle imprese nei prossimi anni.

Nel corso del 2012 la Gamification ha visto crescere il proprio utilizzo da parte delle imprese, impegnate a promuovere i propri prodotti e servizi incentivando l’utenza ad adottare determinati comportamenti utilizzando tecniche proprie dei videogames.
L’uso generalizzato della Gamification ha spostato su di essa l’attenzione delle riviste e degli addetti del settore, che ne hanno potuto studiare le dinamiche e i meccanismi che la caratterizzano, così da poter poi aiutare e direzionare le imprese nelle decisioni strategiche per il mercato.

Inc. (Sito di Inc.com), rivista economica americana famosa per la sua annuale classifica delle 500 imprese più in rapida crescita ha da poco pubblicato un articolo con i trends che, a loro giudizio, sono da abbandonare. Al quarto punto della lista, ecco apparire: Gamification. Riportiamo il testo direttamente dall’articolo di Inc.com:

“Games are engaging. Games are fun. Games are interactive. It’s no wonder businesses have jumped on the band wagon to bring game mechanics to things like in-house applications and consumer-facing mobile apps, not to mention other company initiatives. Why shouldn’t a customer get an achievement badge for staying in a hotel or frequently “checking in” to a restaurant?
It might help some companies, but this has all the smell of a silver-bullet solution. If you don’t have practices, insights, offerings, and ways of doing business that can bring customers closer to begin with, using games won’t help.
Gimmicks can work to improve sales, employee productivity, or virtually anything else for a while. In organizational psychology, it’s called the Hawthorne Effect. People start working harder because management is paying attention. But eventually things slow to back to normal levels, because people get used to the new status quo. When all is said and done, games rely on consumer whimsy and can be ephemeral in nature, which probably isn’t what you had in mind for business improvements.”


Dopo una breve presentazione, Erik Sherman fa due considerazioni:

_La prima riguarda un problema che aveva già evidenziato anche noi (Link articolo 80% gartner): le imprese devono saper utilizzare la Gamification unita ad un sempre migliore design, altrimenti si rischia di essere attirati da una errata concezione della Gamification come “Panacea” senza eccessivi costi; se non si è in grado di sviluppare correttamente una strategia gamificata, o offerte adatte al pubblico, utilizzare i giochi non aiuterà a a sollevare le vendite.

_Per la seconda considerazione viene chiamata invece in causa la psicologia: secondo il giornalista, la Gamification è influenzata in qesto momento dall’effetto “Hawthorne”. Secondo questo fenomeno, la Gamification e i suoi addetti starebbero aumentando la produttività perchè percepiscono che l’attenzione del pubblico e delle imprese è su di essi. Quando la situazione si sarà normalizzata, e sarà raggiunto un nuovo status quo, la Gamification verrà abbandonata in breve tempo.

L’effetto è possibile che vi sia, ma l’analisi non tiene conto del fatto che un utente che utilizza la gamification lo fa volontariamente, e quindi non è portato a disinteressarsi dell’argomento in breve tempo. Inoltre occorre tener presente che l’utilizzo di tecniche gamificate non implica la creazione di un gioco; il gioco trova molte meno applicazioni rispetto ad una soluzione gamificata per la promozione di un prodotto, che risulta quindi meno influenzabile da un eventuale “effetto Hawthorne”

Link all’articolo completo su Inc.com
Fonte

Foursquare cambia strategia sulla gamification

foursquare

Il CEO di Foursquare, Dennis Crowley, ha da poco annunciato durante una intervista per SXSW che Foursquare, uno dei brand simbolo della gamification, cambierà strategia riguardo badge e tecniche gamificate, per poter permettere un migliore posizionamento del marchio.

 

L’annuncio del CEO aziendale non ha lasciato molti dubbi e la risposta degli utenti non si è fatta attendere, con migliaia di tweet in poche ore.
Tra questi, moltissimi pensavano vi fosse qualcosa di sbagliato nelle tecniche di gamification adottate dall’azienda che è stata tra gli early adopter di queste meccaniche nel 2010 (rilevando un impressionante tasso di crescita del 3400%).

La scelta di questo cambio di strategia è sicuramente legato, come ipotizzato da Gamification.co (punto di vista da noi appoggiato), ad un rinnovamento in seno a Foursquare in direzione di un design più ricco.

Dopo un grande rinnovamento strutturale operato questa estate quindi, Foursquare non punta più a meccaniche gamificate legate ad un design povero (di cui parliamo in questo articolo riguardante una previsione di Gartner), ma piuttosto al riposizionamento del brand nellì’immaginario dell’utente, provando ad innovarsi da “applicazione che fornisce badges” a un utile tool per scoprire e conoscere i luoghi della propria città.

La scelta di Foursquare ci sembra assolutamente in linea con il rinnovamento che si sta ponendo in essere non solo nella azienda americana, ma nel mondo della Gamification: senza un Design ben progettato, la Gamification non risulta utile per gli obbiettivi aziendali di medio-lungo periodo.