Un puzzle chiamato Gamification

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Fino ad oggi ci siamo concentrati ed abbiamo parlato principalmente dei casi in cui la Gamification e le sue meccaniche siano state applicate direttamente nell’ambito lavorativo, da aziende ed associazioni di vario tipo, per stimolare prevalentemente i processi legati all’e-learnig.

Questo è la nostra principale area di competenza ed interesse, ma è giusto sottolineare che non si tratta dell’unico approccio possibile all’argomento: è vero infatti che a volte vari brand scelgono di utilizzare i concetti dietro la Gamification “semplicemente” allo scopo di stimolare l’interesse dell’utenza ed aumentare il coinvolgimento dei propri clienti verso precisi prodotti. In pratica, a differenza delle società che optando per creare applicazioni altamente sofisticate e che abbiano reali applicazioni pratiche, ce ne sono altre come ad esempio il brand M&M’s, che hanno scelto di utilizzare meccaniche mutuate dai games non per produrre vere e proprie applicazioni learnificate, quanto piuttosto come aspetti integrati in campagne di marketing più grandi e sfaccettate.

Per fornire un quadro il più ampio possibile, è proprio su questo differente approccio che ci soffermeremo questa volta.

Accennavamo poc’anzi all’utilizzo che il marchio M&M’s ha fatto della Gamification in una sua recente campagna di marketing: la campagna in questione è la M&M’s “eye spy pretzel”

Lo scopo di questa campagna era quello di spingere le vendite di un nuovo prodotto del brand, dei “mini-pretzel” da affiancare alle tradizionali caramelle: inizialmente il prodotto, lanciato sul mercato nel 2010, aveva stentato ad affermarsi spingendo così la compagnia a prendere in considerazione nuove modalità di pubblicizzazione.

A questo scopo, qualche anno dopo aver rilasciato il suo prodotto, la M&M’s decise di lanciare una nuova, massiccia campagna di marketing all’interno della quale si scelse di inserire un semplice eye spy game, per l’occasione ribattezzato “eye spy pretzel

In pratica il “gioco”, davvero semplice ed economico, consisteva nel presentare agli utenti una schermata letteralmente colma delle note caramelle, fra le quali però era stato nascosto un singolo pretzel: scopo del gioco era semplicemente quello di localizzare, nel mare di caramelle, il pretzel in questione.

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Per quanto questo espediente potesse risultare semplice e scontato, promuovendolo adeguatamente sui social network il gioco riuscì a produrre effetti realmente concreti e tangibili sulla campagna marketing: in poco tempo questo riuscì ad esempio a racimolare ben 25000 nuovi “like” sulla pagina Facebook del brand, con più di 6000 condivisioni e 10000 commenti. Si tratta di risultati davvero impressionanti se si considera il costo esiguo dell’operazione.

Tutto questo è stato possibile perché il gioco, per quanto semplice ed intuitivo, riuscì a fornire agli utenti un modo facile, divertente e veloce per prendere confidenza col nuovo prodotto, spingendoli a loro volta a “spargere la voce” grazie ai social media.

Ora, prendendo in analisi la campagna sopra menzionata, dobbiamo porci una domanda: è davvero possibile considerare quanto riportato come un approccio alternativo alla Gamification?

A nostro avviso certamente si: quello che abbiamo qui è infatti un classico esempio di utilizzo di un “gioco” non a fini puramente ludici, ma commerciali. L’applicazione di un semplice diversivo gamificato all’interno di una più ampia campagna di marketing è riuscita a produrre risultati importanti, portando con successo l’attenzione degli utenti verso uno specifico prodotto. Questi in pratica “credevano” di giocare, quando in realtà stavano focalizzando la loro attenzione sul nuovo prodotto al centro della campagna pubblicitaria, prendendovi rapidamente confidenza e contribuendo a rafforzarne il nome grazie al processo del passa parola.

Tutto questo ci aiuta a comprendere che la Gamification è in realtà un concetto molto più fluido e diversificato di quanto ci si potrebbe aspettare analizzandone semplicemente l’aspetto relativo all’e-learning. Un puzzle composto da tessere molto diverse fra loro, ma che de facto concorrono a creare un unico, grande insieme.

La tua azienda è pronta per la gamification?

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Applicare tecniche gamificate per il proprio business può essere complicato se non si tengono a mente alcuni principi  fondamentali che possono determinarne il successo o l’insuccesso. Getmoreengagement.com stila le sette domande che l’azienda dovrebbe porsi prima di introdurre la Gamification tra i propri strumenti di Marketing.

 

Secondo Gartner il 40% delle più grandi imprese globali utilizzerà la gamification entro il 2015 nei propri processi di Business; le aziende che stanno muovendosi in direzione dell’adozione di tecniche gamificate sono così numerose che la stessa azienda statunitense prevede entro il 2016 un mercato di 2,8 miliardi di dollari per la Gamification.

 

I nuovi ritrovati tecnologici e l’ideazione di design interessanti per l’utente hanno quindi permesso una grande spinta all’uso della gamification da parte delle imprese. E’ quindi possibile per chiunque utilizzare la gamification come proprio strumento di Marketing?

La risposta è ovviamente negativa: chiaramente, chiunque può utilizzare gli strumenti che desidera nella definizione della propria strategia di Marketing, ma allo stesso tempo non è possibile ottenere risultati agendo senza una direzione precisa. L’esperienza deve creare engagement per il cliente, deve accompagnarlo nel cambiamento dei suoi comportamenti.

 

Per questo, Business2Community stila un interessante serie di domande che puntano tutte verso un unico punto: la nostra azienda  è pronta ad adottare la gamification?

 

  1. Chi è il nostro Target? Occorre avere ben chiaro il target dell’azione di gamification; essa non può essere rivolta “a tutti”, ma deve essere ben progettata per una specifica target audit, che possa coglierla al meglio.
  2. Qual’è il nostro traguardo e i nostri obiettivi? Il focus dell’azione deve essere ben chiaro; meglio prevedere una azione ben mirata e specifica senza disperdere le proprie forze allargando troppo l’azione.
  3. Che azione vogliamo incoraggiare? La gamification si occupa di cambiare i comportamenti degli utenti: serve che l’azienda comprenda attentamente quale cambiamento vuole operare nel comportamento dell’utenza, e lì concentrare i propri sforzi.
  4. Come possiamo monitorare i progressi? Essendo uno strumento di Marketing, la gamification ha bisogno di essere misurabile per comprendere se e quanto l’azione gamificata ha avuto successo o meno.
  5. Che tipo di ricompensa vogliamo offrire? Come in un videogame, l’azione dell’utente deve essere finalizzata all’ottenimento di un benefit. L’azienda deve prevederlo per poter adottare un design adatto al premio.
  6. Come possiamo promuovere l’azione di gamification? Serve definire attentamente i canali attraverso i quale si vuole muoversi: meglio una promozione solo online oppure anche nella vita reale degli utenti?
  7. Che budget vogliamo imporci? Il lavoro creativo deve essere remunerato nella giusta maniera; per questo l’azienda deve prevedere il proprio budget per l’azione gamificata

 

Le domande che Getmoreengagement.com pone permettono ai responsabili delle attività d’azienda di valutare attentamente (ovviamente in maniera preliminare) la scelta di gamificare le proprie attività, prima di rivolgersi ad un esperto del settore.

Potete trovare qui l’articolo in lingua originale.

Gamification case study: pubblicità Coca-Cola

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L’esperimento sembra riuscito: i dati parlano di più di 380.000 download per un’app brandizzata e 9 milioni di visualizzazioni dello spot in TV. Risultati decisamente positivi per la campagna pubblicitaria messa in atto da Coca Cola ad Honk Kong per il proprio target adolescenziale in cui la gamification ha giocato un ruolo fondamentale.

 

Coca Cola ha recentemente sviluppato una innovativa campagna pubblicitaria per i residenti ad Honk Kong, il cui funzionamento è semplice e allo stesso tempo frutto di un ottimo utilizzo delle tecniche di gamification, che trasportano meccaniche legate ai videogames al di fuori del contesto videoludico: l’utente, dopo aver installato  sul proprio smartphone l’applicazione dedicata, poteva agitare il telefono come se si stesse impugnando una bottiglia durante uno specifico spot visibile in televisione. In questo modo poteva vincere premi istantanei di Coca Cola e dei suoi partner commerciali (per esempio Mc Donalds).

La campagna incentiva i comportamenti attivi degli utenti attraverso tecniche Cross-Platform. L’uso contemporaneo di due media (telefono e TV) permette delle interazioni nuove per applicare la gamification, come ha dimostrato Coca-Cola con questa campagna certamente atipica, e come recenti studi hanno rivelato poco tempo fa (ne parliamo in un nostro articolo su alittleb.it)

 

Vi lasciamo con il video di presentazione della campagna, sperando vi siano azioni promozionali simili presto anche in Italia

 

 

 

 

Social Games e Ricompense

I Social Games lavorano secondo un sistema di “sforzo-ricompensa”, generando quello che viene definito “compulsion loop”, o “engagement loop”: quando un giocatore ottiene una piccola ricompensa per ogni azione che compie, sarà motivato ad agire continuamente, in questo modo, appunto, in un “loop di gratificazione”, o in un “loop di coinvolgimento”. Continua a leggere Social Games e Ricompense

Design Comportamentale

I videogame vengono progettati attorno ad un elemento centrale: il giocatore. Il ruolo del giocatore è quello di svolgere azioni finalizzate ad una ricompensa, entro i limiti stabiliti da regole di gioco. John Hopson ha coniato questo set di regole con il termine “contingenze”, ovvero un insieme di leggi imperanti sotto le quali il giocatore agisce ricevendo ricompense e rinforzi . Sperimentando quindi differenti modalità di ricompense, si ottengono differenti patterns di risposta dal giocatore. Continua a leggere Design Comportamentale

Bisogni e Motivazioni: perchè esistono i Giochi

Il nostro cervello si è evoluto, al fine di incoraggiare il successo personale di ogni individuo, attraverso un sistema di ricompense che ne gratifica gli scopi; tali scopi arrivano oltre il mero concetto di sopravvivenza, sebbene questo sia il fondamento animale per eccellenza. I giochi e l’attività ludica, pertanto, vedono la propria ragione d’essere in correlazione con la nostra capacità di adattamento, nonché con la sua evoluzione: imparando a giocare ci districhiamo nella vita di ogni giorno, metabolizzando regole, limiti e traguardi, al fine di crescere come individui e fronteggiare le avversità della quotidianità.

Le ragioni di tale forza psicologica  sono da attribuirsi all’esistenza di stimoli biologici e chimici. Risolvere un rompicapo all’interno di un gioco, annientare un nemico per ottenere un determinato bonus, sono attività che rilasciano la medesima dose di dopamina (un neurotrasmettitore collegato direttamente alle motivazioni e agli stimoli, indotti dall’ambiente esterno) nel nostro cervello, così come superare un esame universitario o ottenere un certo riconoscimento lavorativo.

Dunque, è importante non ricadere nello stereotipo che i giochi siano attività ad irrilevanti e “perdite di tempo”.

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L’effetto Reciprocità nei Social Games

Terzo della serie di post che delineeranno quali sono le dinamiche, meccaniche e/o elementi legati ai diversi tipi di business models importanti per generare reddito da un social game.


Lo sfruttamento del cosiddetto Effetto di Reciprocità permette di implementare una meccanica altamente significativa all’interno di un social game.
Utilizzare l’effetto di reciprocità significa far leva sulla dinamica del “dare-ricevere” e sulle norme sociali ad essa correlate; ciò contribuisce senz’altro a rafforzare effetti virali e attrattivi verso i giocatori – spinti a tradurre in-game quelle convezioni alla base della società.
La reciprocità, infatti, è un istinto profondamente radicato nella natura umana, tanto che diversi esperti asseriscono che abbia aiutato non poco nell’affermazione delle moderne società. In molte situazioni sociali esiste l’aspettativa che le persone interagiranno tra loro in modi simili e determinati: con reciprocità si intende che quando qualcuno ci dona qualcosa, non solo avvertiamo un senso di obbligo a ricambiare il gesto, ma sentiamo anche che l’opinione verso quella persona è rinvigorita in positivo (abbiamo quindi ricevuto quello che può essere considerato un “rinforzo positivo”). Seguire questo modello di comportamento è reputato come “corretto”, se non addirittura doveroso; spezzarlo può indurre situazioni di imbarazzo e confusione.
Nei social games, i giocatori tendono a comportarsi seguendo questi principi, in quanto, oltre a godere dei doni ricevuti, il ricambiare il dono li induce a promuovere la propria immagine personale agli altri, innescando quindi un circolo di reciprocità fortemente virale e attrattivo.
La chiave per sfruttare appieno questo tipo di dinamica è far sì che le azioni del giocatore siano osservate (e quindi giudicate) dagli altri; è anche importante come designers stabilire una chiara sequenza di azioni in-games che inducano a generare un’aspettativa di reciprocità.

“Send your friends a gift, and ask them to send one in return!”

Ad ogni modo, occorre calcolare con attenzione questo ciclo: il senso di “obbligo” non sempre porta i risultati sperati, soprattutto nel lungo periodo; l’effetto di reciprocità è una lama a doppio taglio, che deve essere utilizzata con la dovuta cura da parte del game designer, che deve essere capace di inserirla in modo discreto “tra le righe” del gioco.

L’evoluzione del Game Design – La teoria dei 7 peccati capitali

Secondo della serie di post che delineeranno quali sono le dinamiche, meccaniche e/o elementi legati ai diversi tipi di business models importanti per generare reddito da un social game.


Il lead designer di Settlers Online, Teut Weidemann, afferma che il passo iniziale per uno sviluppatore è identificare ciò che rende divertente una meccanica capace di attrarre utenza. Allo stesso tempo, è necessario considerare la forza remunerativa della meccanica, in quanto la monetizzazione è diventata parte integrante e cruciale del game design.
La tecnica adottata da Weidemann è interessante e non bada di certo al cinismo, poiché si fonda sull’esplorazione, anzi, sulla monetizzazione delle debolezze umane, liberamente rinominate come i “sette peccati capitali” – dicitura questa che di certo non ha fatto mancare polemiche all’interno della comunità degli sviluppatori. Tuttavia, a nostro avviso, rimane una logica corretta.

Ecco i “sette peccati capitali”:
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L’evoluzione del Game Design – Introduzione

Questo è il primo di una serie di post che delineeranno quali sono le dinamiche, meccaniche e/o elementi legati ai diversi tipi di business models importanti per generare reddito da un social game.


I giochi sono uno dei principali motivi per cui le persone visitano Facebook: viene stimato che circa il 40% della sua utenza è presente per giocare con i social games. Ciò significa che più di 200 milioni di persone si divertono a giocare su Facebook ogni mese, e che la top ten dei titoli più giocati sul social network può vantare più di 12 milioni di utenti ciascuno.

Come l’industria si sta muovendo rapidamente verso modelli di business online, tra i quali il cloud gaming, la distribuzione digitale e il social gaming, anche i game designers necessitano di adattarsi a questa situazione, evolvendo il proprio bagaglio tecnico-culturale al fine di coniugare la creatività con logiche di mercato via via più agguerrite e innovative, che ricercano l’abile commistione tra il fattore “fun” e quello remunerativo.

Questo non vuole dire un appiattimento del gameplay a favore della monetizzazione fine a se stessa, in quanto la feroce concorrenza, nonché la vertiginosa crescita del settore, inducono a generare negli utenti aspettative di sempre più elevate, focalizzate sulla semplicità e sullo stimolo emotivo, piuttosto che sulle azioni da intraprendere e sulla profondità estetica dell’architettura ludica.

Se portiamo indietro le nostre riflessioni anche solo a vent’anni fa, l’evoluzione del design videoludico ha visto le medesime dinamiche adattive. Ad esempio, i giochi arcade da sala erano appositamente progettati per “spillare” soldi agli utenti, portati a immettere via via più monete nel cabinato per poter proseguire nell’esperienza. Ciò significa che il design era costruito attorno alla piattaforma di gioco; vale a dire, il modello di business era chiaro fin dal principio, e certamente, veniva implementato all’interno del processo creativo come fondamento iniziale delle decisioni da attuare in sede di produzione.

Per un game designer, il modello di business e la piattaforma di lavoro, possono sì rappresentare dei confini, o limiti, ma è all’interno di tali costrizioni, che la creatività viene spinta al massimo e che dà i frutti migliori, soprattutto in termini remunerativi, poiché le meccaniche vengono adottate affinché siano divertenti nella loro semplicità, una semplicità che deve essere capace d’indurre “addiction” nell’utenza.

Tre trend per i social game nel 2011 | Gamasutra: Joost Rietveld’s Blog

I Social game, che hanno sia espanso che diversificato la popolazione dei videogiocatori, stanno maturando a passi rapidi; sebbene ne risultino fenomeni di consolidamento, permangono anche ampi spazi di innovazione.
In questo articolo (considerati i risultati del Social Gaming Summit del 2010, le varie attività di consulenza nel settore del social gaming e le pubblicazioni accademiche sull’argomento) verranno presi in considerazione i tre principali trend che rivoluzioneranno i social game nel 2011.
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