La competizione nelle esperienze gamificate

La competizione è da sempre un elemento portante dei giochi; riuscire a portare a termine un obiettivo confrontando i nostri risultati con quelli altrui ci spinge a perfezionarci e a migliorare. Alcune regole (da Mario Herger, guru americano globalmente riconosciuto della gamification) per poter da una parte difendersi da una competizione distruttiva, dall’altra trarre vantaggio per il proprio business da una competizione positiva.

La competizione viene definita da Wikipedia come ” …una gara tra organismi, animali, individui o gruppi per un territorio, una nicchia o una location in gardo di fornire risorse e sostentamento, per prestigio, riconoscimento, premi, dei compagni o un nuovo status sociale, per la leadership; è opposto alla cooperazione”.

La gamification stessa ha a che fare direttamente con la competizione, dato che molti degli strumenti a disposizione sono basati interamente sulla competizione perchè abbiano effetto: una leaderboard, per esempio, si fonda sulla volontà dei giocatori di apparire nelle prime posizioni della stessa, pertanto trova fondamento nel direzionare correttamente la competizione tra gli utenti. Le esperienze gamificate giovano pertanto della competizione, riuscendo a creare tanto più engagement quanto più le persone si sentono in competizione tra loro. In particolar modo risulta importante per le imprese riuscire a creare delle esperienze gamificate di successo per i propri dipendenti; un dipendente che si senta incentivato a competere con i suoi colleghi lavora più duramente e conquista gli obiettivi in poco tempo, proprio per affermarsi come il migliore. Ne deriva che, se l’azienda è in grado di incanalare correttamente i comportamenti dei suoi dipendenti, è in grado di aumentare la propria produttività di riflesso.

 

Herger distingue in primo luogo una competizione “positiva” (tecnicamente chiamata adattativa) e una negativa (o “disadattiva”); la componente adattiva ha come caratteristiche principali la perseveranza dell’utente nel “mettersi in gioco” seguendo le regole, applicandosi al meglio delle sue capacità per migliorarsi senza ossessionarsi dal pensiero di superare gli altri. La componente disadattiva, d’altro canto, è tipica di una persona che si impone di non perdere ad ogni costo, in competizione anche mentre gli altri non sono competitivi e che barerebbe al gioco, se solo fosse possibile. L’articolo prosegue indicando come le differenze di genere (gli uomini tendono a mettersi in gioco avendo anche solo un minimo di possibilità, le donne quando hanno grandi chances per la vittoria), di cultura (ad esempio in oriente l’armonia del gruppo è tenuta più in considerazione rispetto allo sviluppo individuale) e altri fattori demografici possano influire sulla competizione; per questo motivo, occorre che gli esperti di Gamification sappiano implementare al meglio gli strumenti propri di questa tecnica di Marketing, al fine di incontrare al meglio i gusti del pubblico, e allo stesso tempo direzionare la competizione in modo che generi un flow positivo.

Le idee riportate da Herger ci consentono quindi di considerare l’uso della competizione come un prezioso strumento nelle nostre mani, per poter supportare le esperienze create dagli esperti e per poter aumentare l’interesse generato attorno ad essa. Vi lasciamo con l’articolo in lingua originale sul sito di Herger, qui

Giocare (e perdere) ci aiuta a migliorare

Videogames_migliorano_la_nostra_vita

Uno degli aspetti più interessanti di un ambiente gamificato è la possibilità di ricreare un ambiente “protetto”, all’interno del quale l’utente può migliorare alcuni comportamenti. Vediamo come la possibilità di poter provare un’azione più volte diventa importante, soprattutto in contesto aziendale, per migliorare la produttività dei propri dipendenti.

La possibilità di far vivere delle esperienze in un contesto virtuale può essere di grande aiuto alle persone: ogni giorno milioni di persone giocano a videogames che riproducono delle situazioni di vita quotidiana (a volte opportunamente modificati per adattarsi al game design). I videogiochi possono sembrare strani o fuorvianti (per esempio nella saga di GTA siamo portati ad infrangere le leggi), ma possono insegnare a migliorarci in alcuni task, come nell’esempio citato il guidare per la città ricostruita virtualmente. Il fatto stesso che la città sia virtuale permette al giocatore di non preoccuparsi troppo di eventuali errori, ma la possibilità di imparare a guidare correttamente (rispettando la segnaletica, evitando gli incidenti) è un task presente (e anche supportato dal gioco, dato che la guida spericolata può essere uno dei motivi per il quale la polizia ci inseguirà).
Quindi, il giocatore può impegnarsi a migliorare alcune competenze che si riflettono in seguito nella vita quotidiana: ricorderà come ha affrontato la situazione all’interno del videogioco e riuscirà a trovare la soluzione migliore che è riuscito ad adottare all’interno del contesto virtuale.

Spostando il nostro punto di visione sul contesto aziendale, le applicazioni sono infinite e si prestano alla creazione di serius game per testare e formare le capacità dei propri dipendenti: avendo la possibilità di tarare il game-design sulle necessità del management, i dipendenti possono essere inseriti in situazioni che simulano ciò che potrebbero incontrare durante la loro carriera lavorativa. Avremo così poliziotti alle prese con simulazioni di casi, piloti che affrontano traversate comodamente seduti alla scrivania, impiegati alle prese con clienti fittizi. Unendo la situazione virtuale ad un game-design ben studiato (il game design, per ogni applicazione gamificata è essenziale), consente al dipendente di provare e riprovare, in un ambiente protetto, il proprio task. In questo modo potrà, esattamente come se stesse giocando ad un altro qualsiasi videogame, imparare dai propri errori per non commetterne nella vita reale.

Il vantaggio si sviluppa per tutte le categorie impiegate nel processo produttivo:

  • Il dipendente ha modo di sviluppare le proprie capacità lavorative avendo la possibilità di testare diverse strategie per portare a compimento la missione assegnata. L’apprendimento è portato ad essere più incisivo, dato che avviene in un contesto “fun” che è attivamente ricercato dall’utente .
  • Il management guadagna una formazione attiva da parte dei dipendenti, che risulta quindi migliore a livello qualitativo. L’esperienza è adattata al processo produttivo aziendale, e pertanto il management può decidere su quale aspetto della carriera lavorativa far lavorare i dipendenti. Inoltre è possibile adattare le tecnologie utilizzate al fine di formare sempre più dipendenti, abbattendo i costi per l’azienda.
  • Il cliente ottiene un servizio migliore, formato sulla base delle esperienze accumulate dal lavoratore. Quanti aerei sarebbero dovuti cadere per ottenere la stessa formazione per quel pilota?